La meditazione del mattino voluta da Borgia
16 July 2012
CATEGORIECuriosities
TAGLa II Congregazione Generale (1565) dispone che il P. Generale Francesco Borgia decida sul tempo dedicato alla preghiera quotidiana da parte di ciascun gesuita. Borgia decide per un’ora di orazione quotidiana (che prende il nome di meditazione del mattino) a cui si affiancano i due esami (un quarto d’ora a metà giornata e un quarto d’ora a fine giornata). Questa decisione sarà convertita in legge dalla IV Congregazione Generale (1581).
Con un lavoro di recupero creativo della fonti, così come auspicato dal Concilio Vaticano II, la Compagnia, nel corso della XXXI Congregazione Generale (1966), rivede la norma: i membri formati, sotto la guida dei superiori e con “discreta carità”, stabiliscono il progetto di preghiera più adatto alle proprie particolari necessità. La decisione è presa in accordo con la Costituzioni SJ: “L’unico principio raccomandabile è la carità discreta, purché si consulti il confessore e, in caso di dubbio, si discuta il problema con il padre superiore” [COST 582]. Ignazio è contrario alla creazione di una norma universale, la preghiera è unica e personale; ma distingue tra gesuita in formazione e gesuita formato. Secondo Ignazio, il lavoro intrapreso per obbedienza e al servizio di Dio ha un carattere sacramentale, e i gesuiti devono trovarvi Dio proprio come nella preghiera formale: “E’ importante rendersi conto che l’uomo serve Dio non soltanto quando prega […] infatti vi sono momenti in cui si serve Dio molto meglio in modi diversi dalla preghiera” (Lettera a Borgia, 1549).
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La meditazione del mattino voluta da Borgia
La II Congregazione Generale (1565) dispone che il P. Generale Francesco Borgia decida sul tempo dedicato alla preghiera quotidiana da parte di ciascun gesuita. Borgia decide per un’ora di orazione quotidiana (che prende il nome di meditazione del mattino) a cui si affiancano i due esami (un quarto d’ora a metà giornata e un quarto d’ora a fine giornata). Questa decisione sarà convertita in legge dalla IV Congregazione Generale (1581).
Con un lavoro di recupero creativo della fonti, così come auspicato dal Concilio Vaticano II, la Compagnia, nel corso della XXXI Congregazione Generale (1966), rivede la norma: i membri formati, sotto la guida dei superiori e con “discreta carità”, stabiliscono il progetto di preghiera più adatto alle proprie particolari necessità. La decisione è presa in accordo con la Costituzioni SJ: “L’unico principio raccomandabile è la carità discreta, purché si consulti il confessore e, in caso di dubbio, si discuta il problema con il padre superiore” [COST 582]. Ignazio è contrario alla creazione di una norma universale, la preghiera è unica e personale; ma distingue tra gesuita in formazione e gesuita formato. Secondo Ignazio, il lavoro intrapreso per obbedienza e al servizio di Dio ha un carattere sacramentale, e i gesuiti devono trovarvi Dio proprio come nella preghiera formale: “E’ importante rendersi conto che l’uomo serve Dio non soltanto quando prega […] infatti vi sono momenti in cui si serve Dio molto meglio in modi diversi dalla preghiera” (Lettera a Borgia, 1549).
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